La Cassazione torna sul nesso causale in tema di responsabilità medica, decretando che il coefficiente di probabilità va verificato nel caso concreto.
L’accertamento della responsabilità professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, va ormai pacificamente fatto sulla base del giudizio controfattuale.
Con la sentenza numero 24922/2019, la Corte di cassazione ha però fornito un chiarimento in più sulla portata e i limiti di tale giudizio.
Il giudizio controfattuale
Il giudizio controfattuale è quello che ha come oggetto l’accertamento, sulla base di una regola di esperienza o di una legge scientifica universale o statistica, del fatto che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa e non tenuta, l’evento lesivo lamentato dal paziente non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato molto dopo o con minore intensità lesiva.
Credibilità razionale
Per i giudici della quarta sezione penale, tuttavia, dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica non può dedursi in maniera automatica la conferma o meno dell’ipotesi accusatoria sul nesso causale.
Il giudice, infatti, una volta esclusa l’interferenza di fattori eziologici alternativi sul danno lamentato dal paziente, deve anche verificare la validità del coefficiente di probabilità nel caso concreto, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto e di tutte le evidenze a sua disposizione.
Per poter affermare che un evento lesivo è stato cagionato dalla condotta omissiva del medico è indispensabile un “alto grado di credibilità razionale”.
Se vi è il ragionevole dubbio, il medico non può essere condannato.
La condotta colposa va valutata ex ante
La Corte di cassazione, nella sentenza numero 24922, ha poi precisato che la condotta colposa di un medico non può mai essere valutata ex post, ma, tenendo conto di tutte le peculiarità del caso concreto, occorre valutarla ex ante.
Quindi bisogna contestualizzare le modalità con le quali le visite mediche sono state svolte e tenere conto delle condizioni di salute in cui si trovava il paziente nelle giornate in cui la prestazione medica “incriminata” è stata resa o è stata omessa.
Un giudizio che non rispetta tale principio non può concludersi con la condanna del sanitario.
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